Sembrava che lo capissi. Stavi nel tuo piccolo recinto, affacciando il muso e osservavi noi che lavoravamo a piantare pali e tirare rete. Ascoltavi attento le nostre voci, le nostre risa. Sembrava che lo capissi che, alla fine, dopo le mie ripetute insistenze e lagnanze, dopo tre mesi quasi che imploravo, quei due tipi si erano decisi a darmi una mano per costruire un nuovo recinto, grande. Si Pepito, è stata un'impresa, neanche dovessimo costruire un duomo, o chissà che opera di ingegneria. Ma finalmente oggi si sono decisi. Li fanno per mestiere, i recinti, e so che li fanno bene.
Mentre ancora lavoravano, sono venuta a liberarti nell'arena, come faccio di solito, ma questa volta tu, anzichè brucare quei pochi fili d'erba che hai dimenticato ieri, ti sei messo a correre, a sgroppare, inchiodando all'improvviso per poi ricominciare a correre, nell'altra direzione, e a ragliare forte, insistente. Ero davvero felice della tua felicità. Non ti avevo mai visto così. Chissà cosa farà quando entrerà nel nuovo recinto? mi chiedevo. E appena il recinto è stato pronto, ecco, ti hanno aperto, ma io non c'ero, ero andata a comperare una catena e dei moschettoni, e la polizia mi ha anche fermata, così quando sono tornata eri già fuori. Non ho visto la tua espressione, non ho sentito il tuo raglio di gioia, se hai ragliato, e non so cosa hai fatto, come hai camminato, come sei entrato. Dopo tre mesi che aspettavo questo momento, per pochi minuti me lo sono perso. Ti hanno fatto entrare, senza aspettarmi. Ma, dopotutto, mi dico che non è importante cosa avrei provato io, nel vederti, l'importante è che stanotte tu possa decidere di stare alzato, di uscire a fare una passeggiata, di mangiucchiare qualcosa, se te ne viene voglia. Di guardare la stelle, da un'angolazione diversa. Di aspettare il mattino, e la mia venuta, sul pianoro in alto. |
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