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Prima astuzia di Bertoldo
Commenti : 0
Guia il 04-Ott-2009 in Generica
PRIMA ASTUZIA DI BERTOLDO

Bertoldo se ne andò a casa, prese un asino vecchio, tutto scorticato e su di esso tornò alla corte del Re, accompagnato da un milione di mosche e tafani, che tutti insieme facevano una nuvola grande tanto che lui a mala pena poteva essere veduto.
- Eccomi , o Re – disse. – Sono tornato come una mosca, sopra una carogna scorticata. – Tu sei un grand’uomo – rispose il Re. – Ma ora mettiti da parte; perché vedo due donne venire da me.

da Bertoldo e Bertoldino – di G.C. Della Croce - Ed. Paoline 1966
Vinse il più intelligente
Commenti : 3
Guia il 29-Set-2009 in Generica
Vinse il più intelligente

Un uomo che si chiamava Diego Moor ed era testardo come un mulo, si sposò e perdette subito la moglie per via delle pipe di gesso del tiro a segno.
Infatti partirono i due sposini per fare il viaggio di nozze e, arrivati a Santabar, trovarono davanti alla stazione una baracca del tiro a segno con le carabine pneumatiche.
«Ora ti faccio vedere, Isabel: seicolpi, sei pipe.»
Così disse Diego e cominciò a sparare, ma le pipe sembravano maledette e non venivano giù.
Dopo sessanta colpi Isabel toccò il braccio di Diego e lo pregò di smettere perché si faceva tardi e dovevano ancora fissare la camera nell’albergo.
«Ancora sei colpi soltanto» rispose Diego, e sparò fino a quando la ragazza del tiro a segno gli disse che era mezzanotte e che voleva chiudere la baracca.
«Pago quadruplo» rispose Diego, e quando spuntò l’alba stava ancora sparando. Allora vennero meno i pallini di piombo e Diego pagò, molto seccato perché le pipe stramaledette erano ancora tutte intatte.
«Andiamo Isabel» disse Diego, voltandosi. Ma Isabel non c’era più e non la vide mai più vita natural durante.
Questo Diego Moor , che era molto ricco, si mise a girare per il mondo, e un giorno capitò in una piazza della città di Solivia dove c’era gran gente radunata davanti a una birreria. Il padrone del locale regalava un barile di birra a chi fosse capace da reggersi per cinquanta metri a cavalcioni di un certo asino dalla faccia di mascalzone che aveva comprato a Piquir, la patria degli asini delinquenti.
Molti provarono perché un barile di birra fa sempre gola: saltavano sull’asino e dopo quattro o cinque metri erano già col muso per terra. Tutti ridevano e dicevano che era impossibile perché quello era un asino da guardia e di notte morsicava come un cane.
Diego Moor non viaggiava solo ma in compagnia di molti amici, e, rivoltosi alla combriccola, annunciò:
«Adesso vi faccio vedere io».
Allora tutti gli amici, che conoscevano bene Diego Moor, gli strinsero la mano, lo salutarono, e andarono per i fatti loro tranquillamente.
Diego Moor saltò sull’asino, e quello, con una grande sgroppata, lo appiccicò contro il muro.
«Figurati» esclamò Diego Moor quando si fu rialzato «manco se tu,asino, fossi un mulo e io, Diego Moor, fossi un asino!» E rimontò in groppa alla bestia, e di nuovo fu a terra.
Insistette fino a quando ebbe qualcosa che non fosse ammaccato, poi si fece portare a letto gridando all’asino:
«Domani ci rivedremo io e te!».
Diego Moor era un uomo di parola,e la mattina dopo stava ancora lottando con l’asino e continuò fino a mezzogiorno. Poi riprese il pomeriggio.
Disse il padrone della birreria:
«Ho una buona stanza e un cuoco straordinario: posso farvi pensione, seňor. Così siete più comodo».
Diego Moor prese alloggio nella birreria e passava le sue giornate a farsi scaraventare per terra dall’asino stramaledetto. Era diventato celebre nella città e nei dintorni, e la gente diceva che si trattava di un gran signore che aveva avuto un dispiacere in amore e che si era dato all’asino per dimenticare.
Passarono settimane e mesi, e l’asino scaraventava sempre per terra Diego Moor, però si notava un lento e graduale miglioramento nel cavalcatore: i primi tempi Diego Moor veniva schizzato via appena salito, ma di giorno in giorno riusciva a mantenersi in groppa sempre di più, e alla fine del primo anno Diego Moor piombava giù soltanto dopo dieci metri di percorso.
Alla fine del secondo anno Diego Moor raggiungeva i centimetri e, con un progresso di cinque metri ogni sei mesi, arrivò nel dicembre del quinto anno fino ai quarantanove metri.
L’asino oramai non ne poteva più: lottava ancora perché era un’animaccia nera, e Diego Moor annunciò solennemente nella sala della birreria:
«Per Natale avrò il mio barile di birra».
La mattina di Natale c’era gente così in piazza, e Diego Moor saltò in groppa all’asino, sicurodel fatto suo. L’asino lottò come un leone, ma Diego Moor sembrava incollato alle costole della bestia. Dieci, venti, trenta, quaranta metri; quarantacinque, quarantasette, quarantotto, quarantanove: ancora un metro per arrivare al pilone che segnava la fine del percorso. L’asino s’impuntò come un disperato, ma le ginocchia di Diego Moor gli spaccavano le costole e gli toglievano il fiato, e non si poteva star fermi.
Quarantanove e venti, quarantanove e quaranta, quarantanove e sessanta: l’asino aveva la bava alla bocca e gli occhi pieni di sangue.
«Quarantanove e ottanta!» grida la gente.
L’asino si sfasciò come se gli si fossero slegate le ossa, e Diego Moor andò a spaccarsi la testa sulla terra ghiacciata.
Secchi tutt’e due: Diego Moor e l’asino vincitore.
«Povera bestia» disse la gente.


da “lo Zibaldino” di Giovannino Guareschi
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